Anno II – Numero 12 – Aprile 2022  
Comitato scientifico editoriale: Vincenzo Mirone, Giuseppe Procopio, Corrado Franzese
Editore: Intermedia – Direttore Responsabile: Mauro Boldrini – intermedia@intermedianews.it

Benessere Urologico è una newsletter a cadenza mensile sui temi della salute urologica, maschile e femminile. Uno strumento utile per essere sempre informati sugli ultimi aggiornamenti, in ambito clinico e scientifico.

NEWS

LE NUOVE LINEE GUIDA EUROPEAN ASSOCIATION OF UROLOGY | EAU 2022
Prof. Mauro Gacci | Dirigente presso AOU Careggi, Membro delle Linee Guida della European Association of Urology e Chair dell’Ufficio Educazionale della Société Internationale d’Urologie



Anche nel 2022 siamo riusciti a realizzare la nuova edizione delle Linee Guida della European Association Urology | EAU. Nell’edizione appena rilasciata, in occasione dei 20 anni da quando le raccomandazioni sono state create, sono state ristrutturate e riadattate diverse sezioni. Siamo passati da indicazioni relative alla sola ipertrofia prostatica, fino al comprendere la gestione di tutte le patologie connesse alle malfunzioni del basso tratto urinario. Le novità più significative riguardo queste nuove ultime indicazioni sono – per quanto riguarda la terapia farmacologica – la terapia di combinazione, in particolar modo l’uso combinato di alfa-litici e beta-3-agonisti. Per questo tipo di sezione è stata realizzata una nuova revisione della letteratura e sono state riportate le evidenze e le raccomandazioni legate a tale genere di trattamenti. Per quanto riguarda il trattamento chirurgico dei LUTS maschili, abbiamo aggiornato quello che è stato realizzato, in termini di grande ristrutturazione, lo scorso anno, dividendo fondamentalmente i trattamenti chirurgici in base all’approccio: resettivo, enucleativo, di vaporizzazione, tecniche alternative e tecniche non ablative. La novità sicuramente più significativa di questa ultima edizione delle Linee Guida è rappresentata da una nuova sezione, da me interamente creata e coordinata, che riguarda la gestione dei pazienti con incontinenza urinaria, una patologia molto significativa, che ha una prevalenza del 11% nella popolazione maschile, ma che arriva a oltre il 30% nei pazienti ultraottantenni. Di tale importante malattia abbiamo definito quindi l’epidemiologia e la pato-fisiologia. Sono stati individuati anche i percorsi diagnostici necessari a questo tipo di malati e quindi anche gli approcci. In primis consideriamo i conservativi – con interventi su stili di vita, comportamento, esercizi pelvici. Esistono poi i trattamenti farmacologici di questo tipo di problematica e infine il trattamento chirurgico, diviso in due branche. Abbiamo dunque quello relativo alla stress incontinence – basato sui bulking agent, sling, meccanismi di compressione – e il trattamento chirurgico dell’incontinenza urinaria da urgenza, con l’iniezione di tossina botulinica a livello vescicale, la neurostimolazione sacrale e la cistoplastica di ampliamento/diversioni per i casi più gravi.

 


LE MUTAZIONI GENETICHE GUIDANO LA SCELTA DELLA TERAPIA MIRATA NEI TUMORI DELLA PROSTATA E DELL’OVAIO


La medicina di precisione segna una svolta nel trattamento dei tumori della prostata e dell’ovaio. Sono, rispettivamente, la neoplasia più frequente negli uomini in Italia (circa 36mila nuove diagnosi nel 2020) e la decima fra le donne (5.200). Possono avere una caratteristica in comune, cioè alterazioni su una gamma di geni coinvolti nella riparazione del DNA (difetti di ricombinazione omologa, in cui rientrano, ad esempio, i geni BRCA1 e BRCA2), in grado di guidare la scelta della cura. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha approvato la rimborsabilità di olaparib, la molecola capostipite della classe dei PARP inibitori, nel trattamento dei pazienti affetti da tumore della prostata metastatico resistente alla castrazione e con mutazione dei geni BRCA1/2 in progressione dopo una precedente terapia con un nuovo agente ormonale. AIFA, inoltre, ha approvato la rimborsabilità di olaparib in combinazione con bevacizumab, nel trattamento di mantenimento di prima linea del carcinoma ovarico avanzato che presenti un difetto di ricombinazione omologa (HRD), un difetto nel meccanismo del riparo della doppia elica del DNA presente in circa il 50% dei casi. “La sopravvivenza a 5 anni nel tumore dell’ovaio è ancora al 43%, anche perché troppe donne, circa l’80%, scoprono la malattia in fase avanzata – ha affermato Giovanni Scambia, Direttore scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli di Roma -. Siamo di fronte a uno dei tumori più aggressivi fra le neoplasie ginecologiche. Fortunatamente oggi abbiamo a disposizione terapie efficaci che permettono di tenere sotto controllo la malattia metastatica. Oltre alla chemioterapia, sono disponibili farmaci antiangiogenetici, che impediscono la crescita del tumore ed i PARP inibitori, classe di farmaci di cui olaparib fa parte, in grado di agire in maniera selettiva sulle cellule mutate che provocano il tumore ovarico. La chirurgia rappresenta comunque la prima arma contro questa neoplasia. Negli stadi iniziali del tumore, si è assistito a un progressivo incremento dell’utilizzo delle tecniche mininvasive, laparoscopiche e robotiche, con un dimostrato vantaggio in termini di tollerabilità. Nella malattia avanzata, si pone la scelta tra la chirurgia primaria, cioè subito dopo la diagnosi, se il tumore appare completamente asportabile, e quella di intervallo, preceduta dalla chemioterapia neoadiuvante, se la neoplasia non può essere eliminata in modo ottimale alla diagnosi. In caso di recidiva, è stato dimostrato che la chirurgia citoriduttiva ottimale, nella malattia platino sensibile, migliora la prognosi”. Il 70% delle donne con malattia avanzata va incontro a recidiva entro due anni: per questo motivo è importante utilizzare terapie di mantenimento in grado di ottenere una remissione a lungo termine. I dati ottenuti con un follow-up a 36 mesi hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo anche del tempo alla seconda progressione di malattia, con una mediana di 50,3 mesi rispetto a 35,3 mesi con bevacizumab da solo”. In Italia quasi 50mila donne (49.800) convivono con una diagnosi di carcinoma ovarico. “L’esecuzione del test HRD al momento della diagnosi assume un ruolo fondamentale – sottolinea la prof.ssa Colombo –, poiché permette di indentificare tempestivamente le pazienti che possono beneficiare di un trattamento in grado di controllare la malattia a lungo termine, ritardando la ricaduta, con una buona qualità di vita. Le mutazioni dei geni BRCA rappresentano solo una parte dei difetti del sistema di ricombinazione omologa, i quali si ritrovano in circa il 50% delle pazienti con tumore ovarico avanzato di nuova diagnosi e predicono la sensibilità agli inibitori di PARP. Conoscere lo status di HRD è fondamentale per la selezione delle pazienti che possano beneficiare del trattamento di prima linea personalizzato con olaparib in combinazione con farmaci antiangiogenici”. L’AIFA ha approvato la rimborsabilità di olaparib come monoterapia nei pazienti con carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione con mutazioni BRCA1/2 (germinale e/o somatica), in progressione dopo una precedente terapia con un nuovo agente ormonale (enzalutamide o abiraterone). “Questa approvazione apre l’era della medicina di precisione anche nel tumore della prostata. Nello studio di fase III PROfound, pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, olaparib ha più che triplicato la sopravvivenza libera da progressione radiologica, con una mediana di 9,8 mesi rispetto a 3 mesi con enzalutamide o abiraterone – afferma Giuseppe Procopio, Responsabile Oncologia Medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e coordinatore nazionale dello studio PROfound -. Olaparib, inoltre, ha ridotto il rischio di morte del 31%, con una sopravvivenza globale mediana di 19,1 mesi rispetto a 14,7 mesi con l’agente ormonale. E sono favorevoli anche i dati sulla qualità di vita, aspetto molto importante da considerare soprattutto nella fase metastatica”.

 

 

CISTITE E GRAVIDANZA
Prof. Marco Soligo, Direttore UOC Ostetricia e Ginecologia | ASST Lodi


La cistite in gravidanza è una problematica particolare. Aspettare un figlio è un momento unico della vita, laddove l’attenzione è posta in gran parte sul benessere del feto e tutte le condizioni che possano, in qualche modo, alterare la salute della mamma sono considerate potenzialmente pericolose anche per il piccolo. Si tratta pertanto di un argomento molto delicato, trattato in maniera specifica. In ambito di cistiti, noi sappiamo infatti che la sola presenza di germi patogeni, in un esame delle urine con urinocoltura positiva, normalmente al di fuori della gravidanza e in assenza di sintomi, non deve essere trattata, né nella donna giovane, né nell’anziana. L’unica eccezione è proprio la gravidanza, ove la presenza di un’infezione, documentata con sintomi, richiede un trattamento antibiotico. Quindi è molto importante che sia eseguito in modo completo, per la durata e i dosaggi corretti e con precisione, per evitare la resistenza agli antibiotici. Questo è uno degli aspetti più delicati della gravidanza. In presenza di un’infezione in corso in una donna incinta, se il fenomeno tende a ripetersi, occorre ci sia una collaborazione tra urologo, ostetrico ginecologo e in alcuni casi si può arrivare – laddove concomiti un ristagno a monte della via urinaria a livello del bacinetto renale e vi siano delle dilatazioni – fino alla necessità di inserire dei piccoli cateterini, degli stent che vanno a intercettare l’urina prodotta a livello renale, per drenarla a livello vescicale. Questo è un intervento che viene eseguito dall’urologo, in accordo con gli ostetrici che hanno in cura la paziente. Si tratta di una situazione con particolari caratteristiche che si cerca sempre di evitare, tuttavia vi sono casi specifici in cui si rende necessaria tale procedura. Ricordiamo che le infezioni delle vie urinarie sono frutto di uno squilibrio della flora batterica normalmente residente. Pertanto è molto importante agire, anche in gravidanza, per favorirne l’equilibrio con probiotici – tanto a livello locale quanto per via orale – o altri elementi come cranberry, D-mannosio o acido ialuronico, che possono sempre aiutare a ridurre lo sviluppo delle cistiti.

 


APPROCCIO PERSONALIZZATO E MULTIDISCIPLINARE PER LA VULVODINIA


La vulvodinia merita un approccio medico personalizzato e multidisciplinare. La patologia, che colpisce circa il 15 % delle donne di cui di cui il 18 di età compresa tra i 20 e i 64 – ha un’origine multifattoriale ed è molto invalidante. Emerge come un dolore o bruciore spontaneo, che può insorgere anche durante o dopo i rapporti sessuali. Può impedirli, in un terzo dei casi, o comunque comprometterne la qualità, ma esistono esiti gravi della patologia in cui non si riesce a stare sedute o a camminare senza provare dolore. Per arrivare a una diagnosi possono trascorrere anche 8 anni, nel corso dei quali le donne vengono spesso trattate da malate immaginarie o comunque con sintomi di natura squisitamente psicosomatica. Un percorso terapeutico personalizzato, invece, può offrire una buona qualità di vita e di relazione. Fondamentale è una visita ginecologica approfondita, durante la quale viene valutato lo stato di salute della mucosa vulvare e vestibolare e del muscolo pelvico e viene eseguito il Q-Tipe Test. Importante è riacquisire la gestione della muscolatura vaginale, spesso invece soggetta a contratture involontarie. È pertanto centrale il coinvolgimento di fisioterapisti o ostetrici, specificamente formati sulle problematiche del pavimento pelvico e di tutte le tecniche presenti in letteratura per riattivarne il controllo. La patologia non è stata ancora riconosciuta dal nostro Sistema Sanitario Nazionale: tutte le cure sono a carico della paziente. Negli ultimi tempi la maggiore attenzione dedicata alla vulvodinia, ottenuta grazie a iniziative di sensibilizzazione e informazione promosse da numerose associazioni, ha portato alla richiesta di accelerare l’iter per l’esame del disegno di legge che la riconosca come malattia invalidante. In alcune Regioni sono state presentate mozioni per richiedere, oltre al riconoscimento della patologia, l’esenzione ticket e PDTA dedicati.

 


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